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QUEL “VECCHIETTO” DI LEBRON, MERAVIGLIOSO NUMBER ONE!

In Italia gli atleti di 35 anni vengono considerati quasi sempre “vecchi”, ormai destinati ad appendere le scarpe al chiodo, a chiudere l’attività agonistica per raggiunti limiti di età. E pensare che c’è un 35enne che dimostra di essere un atleta ancora al top della condizioni, che fa cose magnifiche nel basket, che fa vincere l’anello ai Laker, dedicandolo a Briant. Certo, non tutti sono James, ma forse qualche giocatore messo in naftalina con troppa fretta meriterebbe una attenzione – oltre che un rispetto – diversa.

PROPONIAMO QUESTO ARTICOLO DELL’ANSA …

Per la quarta volta Mvp come Magic Johnson, Tim Duncan e Shaquille O’Neal. LeBron James ha messo il sigillo sulle Finals Nba, eletto miglior giocatore, protagonista del trionfo dei Lakers. La tripla doppia ha regalato l’anello ai californiani e all’unanimità è arrivato anche il titolo Mvp, il quarto come i più grandi (fa storia a sé solo Michael Jordan che è riuscito a conquistarne sei in carriera). Mai nessuno però era riuscito a diventare il miglior giocatore delle finali Nba con tre squadre diverse, record stabilito da un LeBron che a quasi 36 anni domina sempre il parquet. Io il Goat? Lascio a voi la discussione” dice LeBron in merito al dibattito su chi sia il più grande di tutti i tempi (goat acronimo di greatest of all time, ndr).
    “I successi sono tutti speciali – ha aggiunto il campione – Ci sono sempre ostacoli da superare: quando riesci a metterti nelle condizioni di vincere un campionato la prima cosa a cui pensi è tutto il duro lavoro che hai fatto durante la stagione. Tutto quello che hai sacrificato. È sempre stata la cosa più gratificante per me, oltre a vedere i miei compagni di squadra felici. Questo vale per il basket ma anche per tutte le professioni: lavorare, costruire qualcosa e vedere i risultati.
    Penso che viviamo tutti per questi momenti”.
    Il finale di stagione vissuto nella bolla di Orlando, causa covid: LeBron ammette che non è stato facile. “Non saremmo umani se non ammettessimo di aver sentito gli alti e bassi nella bolla – spiega -. A volte mi chiedevo ‘Dovrei essere qui? Vale la pena sacrificare la mia vita familiare? Non sono mai stato lontano da lei per così tanto tempo. Non ero presente quando mia figlia è andata all’asilo, mi sono perso il 16/o compleanno di mio figlio…’. Avevamo per fortuna i mezzi tecnologici per vederci anche a distanza. Alla fine non importa dove vinci un titolo, se in una bolla, Miami, Golden State… Non importa. Quando arrivi a quella performance è una delle emozioni più forti per un giocatore di basket”. (ANSA).

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