AMARCORD. URBANI, DALLA TUSCIA A … MERCKX!
Bitossi correva per la Filotex, la leggendaria squadra toscana con maglia azzurra e fascia bianca trasversale, diretta da Waldemaro Bartolozzi.
In quella squadra era appena approdato un giovane ciclista della Tuscia, cresciuto tra Bagnoregio e Pratoleva. Era Vittorio Urbani, che aveva scalato in fretta i gradini del ciclismo, approdando al professionismo dopo una esplosiva carriera tra i Dilettanti.
Aveva iniziato con lo “storico” Lelio De Santis, che a Viterbo aveva messo su la Ciclistica Libertas, che vantava, oltre a Urbani, anche Originali, Venturini e tanti altri baldi giovani locali.
Aveva esordito nel 1964, mettendosi subito in mostra per la sua classe in bici. Sei anni passati da un successo all’altro: ben centoventi vittorie (anche una partecipazione ai Mondiali di Brno) che gli fanno guadagnare il grande salto.
Vittorio si ritrovò, così, a passare dalle sgroppate sulla strada bianca delle valli di Bagnoregio al fianco di tanti famosi ciclisti. E di un campionissimo come Eddy Merckx.
“Nella stagione dell’esordio – dice Urbani – arrivai secondo dietro Gimondi al Trofeo Matteotti, a Pescara. Non era facile imporsi in mezzo a quella gente, ma cercai di farlo con tanto impegno e finii al quinto posto al Giro dell’Umbria e al Giro delle Marche.
Con quei “mostri sacri” in gruppo dovevi per forza mettercela tutta, sperando anche in un pizzico di fortuna. Una volta ebbi la clamorosa occasione di andare in fuga nientemeno che con Merckx. Eravamo partiti da Potenza. Il “Cannibale” aveva messo subito …. il turbo e sgretolato il gruppo. Rimasi solo io al suo fianco: la gente mi guardava e si chiedeva chi fosse quel giovanotto capace di tenere testa alla furia belga.
Poi lui se ne andò per la sua strada, ma per me rimane ugualmente una giornata da ricordare, da raccontare a qualche amico, al mio nipotino, che ha scelto il calcio, anziché la bici. E forse ciò mi rincuora, perché oggigiorno le strade sono troppo pericolose per allenarcisi tutti i giorni.
La bicicletta era un amore, un modo di vivere, una necessità per mantenere la famiglia. Tutto ciò ti dava il carburante giusto per superare i momenti difficili. Quello, ad esempio, di una rovinosa caduta ad Alatri, quando mi si ruppe il manubrio e finii addosso alle attrezzature metalliche di alcuni operai che lavoravano sulla strada. Ebbi paura di essermi fatto male in modo irreparabile, ma me la cavai con un giorno di ospedale e tante ferite da far rimarginare in fretta, direttamente sulla bici. Pedalando.
Giorni difficili, come quelli delle intemperie. Una volta ci trovammo in mezzo ad una bufera di neve. Dietro una curva c’era Miro Panizza che piangeva come un bambino, in preda ad una terribile crisi di freddo. Noi pure eravamo intirizziti, ma lo rincuorammo e lo aiutammo a proseguire insieme.
Eravamo andati più avanti delle macchine, che erano state costrette a fermarsi. Alla fine ci fecero salire su un pullman e ci portarono fino a una decina di chilometri dal traguardo per garantire il regolare arrivo della corsa.”
Vide piangere – come tutti noi – Merckx, quando venne escluso dal giro d’Italia, per essere risultato positivo al controllo antidoping. Vittorio, ancora oggi, è convinto che un “mostro” di quel genere non avesse bisogno di prendere nulla.
E continua a ripensare con piacere – e un’immancabile dose di malinconia – ai tempi trascorsi in bici. Prima alla Filotex – come detto – poi anche alla Magniflex e alla Dreher, la squadra che aveva Mike Bongiorno come presidente onorario. Il celebre “Allegria” era al top del proprio successo professionale e spesso si intratteneva con i ciclisti per servizi fotografici e televisivi. In uno di questi, una volta, Vittorio e gli altri – al centro di Milano – si ritrovavano “assediati” da una folla oceanica richiamata dalla presenza del personaggio televisivo più famoso in Italia.
Tanti ricordi: la condivisione dello stesso mestiere con gente del calibro di Gimondi, Adorni, Motta, Zilioli, Basso. gli Italiani di punta di allora, insieme al suo “capitano” Bitossi.
Anche amicizie e conoscenze, che furono utilissime al momento in cui Urbani decise di scendere di sella e inventarsi una professione che potesse durare nel tempo.
LIBRO “CARO SPORT, TI SCRIVO”