UNA SIMPATICA INIZIATIVA DI “AMONSPORT”. COSE NE PENSEREBBE GIANNI BRERA?
E, allora, abbiamo pensato che se fosse stato ancora in vita, lo avremmo chiamato dalla nostra redazione per chiedergli un pezzo sul campionato odierno e capire, attraverso il suo scritto, interpretandolo, il suo pensiero a riguardo. Ecco cosa avremmo trovato nella nostra casella di posta, pronto per essere pubblicato.
Lettera da Gianni Brera
“La stagione 2019/2020 ha trovato sua naturale fine sotto l’astro che ne ha contraddistinto la nascita: quello della spettacolarizzazione filo-americana che rende il calcio sempre meno calcio (e sport) e sempre più un simulacro del NBA, competizione che non poteva trovare casa migliore per concludersi che ad Orlando, un parco divertimenti. Di questo campionato, che possiamo reputare concluso con il pareggio tra Juventus e Atalanta, ci ricorderemo non degli strascichi di una pandemia globale ma per una regola assurda che rende ogni tocco di mano occasione per creare pathos, artifizio drammatico e non punizione.
Prima della sfida tra gli orobici e i bianconeri a rimanere intatto è stato l’antico fascino della Serie A, che consta sempre banalmente della speranza che qualcun altro potesse vincere lo scudetto invece che la Juve.
Juve che poteva perderlo lo scudetto e non l’ha fatto, lo ha vinto alla vecchia maniera, ma una maniera che non applica più per volontà bensì per incapacità d’essere diversa, quasi per destino.
Un destino che lascia intendere di non contemplare Sarri nei suoi sviluppi più prossimi. Il toscano è un uomo burbero, rozzo, volgare di una volgarità non misera ma popolana, che attecchisce spesso sulle donne. Il Napoli era una squadra femmina, passionale, volubile e pertanto tollerante, agli antipodi del pragmatismo che caratterizza la Juventus, il pragmatismo dei nobili.
I bianconeri e l’Atalanta
I bianconeri non sono mai stati una squadra, ma un fenomeno sociale. La nobiltà viene dagli anni, quando era più giovane di poco ad altri club di Torino troppo esclusivi per non morire di solitudine, da giovani che a poco a poco si vergognarono dei propri slanci plebei, vagamente adorosi di privilegi sociali. Sarri non è contestualizzabile in tale tradizione, è stato chiamato alla rivoluzione da una società che si è scordata d’essere conservatrice.
Per ricordarselo bastava guardare l’organico e il suo capopopolo: Ronaldo che ha confermato di non essere uomo-squadra, bensì favoloso match-winner (cioè vincitore di incontri). Un centravanti spiazzato per propria convenienza tattica, non assimilabile ad una struttura collettiva: ma quando il momento agonistico lo richiede sa trovarsi perfettamente coordinato al posto giusto, e per coordinato intendo dire in grado di inventare quel che dentro gli ditta il fuoco innato.
All’Atalanta va il campionato minore. Se in Italia esiste una squadra che gioca come le grandi d’Europa questi sono i bergamaschi, che profumano di cibo genuino e campi in fiore, altro che steroidi. Una squadra che, però, non è brasiliana, è figlia della sua terra alla quale ha restituito orgoglio dopo le sconfitte pandemiche. Questa squadra gioca al calcio magistralmente, senza sentirsi inferiore a nessuno e senza mostrare nessun borioso senso di superiorità. Umile ed operaia, e nello stesso tempo nobile, come solo i veri aristocratici sanno essere. Questa squadra, l’Atalanta, è la più bella realtà del calcio di provincia della storia italiana. Lode a Gasperini ed ai suoi. Soprattutto a quel Gomez, che si è reinventato regista nell’epoca in cui questi aborriscono.
La cenerentola che resterà tale
Meritano il secondo posto, che dubito possa difendere la Lazio. I biancocelesti restituiscono l’immagine di una povera vergine rimasta sola a sorvegliare il tempio attaccato da orde di guerrieri. La loro stagione, prima del lockdown, sembrava giusta per il raggiungimento di obiettivi realisticamente fuori portata per organico e attitudine. Abbiamo voluto illuderci e considerarli alla stregua di pretendenti accreditati, un po’ come fanno i genitori di un ragazzino limitato che fortunosamente racimola qualche voto superiore alla sufficienza. Volevamo provare l’ebbrezza di schierarci dalla parte di una cenerentola che tale resterà.
L’Inter di Cervantes
Tale, rispetto alla guida Spalletti, è restata l’Inter: un passero che becca la roccia. Gira e rigira nella Milano nerazzurra si affoga sempre nella stessa acqua di presunzione, che come quella uterina nutre l’ambiente dall’arrivo dei cinesi. Il vil denaro non può comprare la vita, né tantomeno le vittorie. Ma i soldi concedono agli uomini la facoltà di sopravvalutare. Credere che Conte valga più di Spalletti, perché percepisce uno stipendio maggiore e ha allenato in Inghilterra, perché riesce a fregiarsi dell’aura del “so tutto io” e del “è colpa sempre degli altri”. Lo stesso Lukaku non è altro che un attaccante, un buon centravanti, nonostante il suo nome sia stato speso come quello di Alì, siamo al cospetto, però, di un Foreman: campione non definitivo.
Noto, poi, una mancanza di rispetto verso i tifosi e verso Lautaro, nel modo in cui questo è stato trattato col Barcellona, senza l’accortezza di stimare questo flirt, di versiliana memoria, come destabilizzante. I tempi di Angelo Moratti sono lontani ma qualcuno lavora per nasconderlo. Eriksen è stato proprio un tentativo di spazzare il marcio sotto un tappeto.
È un giocatore di notevolissima classe, ma non vale una gamba di Dybala, ne di Insigne. Il suo dinamismo è scarso. Potendo muoversi con qualche comodità, così da non cadere in debito di ossigeno, il suo cervello si conserva lucido, il piede destro si dimostra capace di virtuosismi balistici quali soltanto un vero campione si può permettere. Ma è povero invece il suo spirito agonistico e con Conte quasi sempre non si può nascondere questa lacuna: non l’ho mai visto eccellere quando il clima della contesa aumenta; ogni suo gesto deve essere meditato; nulla o quasi viene espresso da lui seguendo l’istinto. Questo é un campione? Questa è l’Inter: un Don Chisciotte.
Bagarre per l’Europa adolescenziale
Nelle posizioni valevoli per l’Europa adolescenziale, per la quale l’accesso ha lo stesso gusto di un matrimonio riparatore, troviamo tre figlie di rapporti occasionali, di errori di una notta di mezza estate. Stiamo parlando delle alienate: Roma, Milan e Napoli.
I giallorossi ci hanno dato due versioni di se come un adolescente in casa, sotto lo sguardo dei genitori, e fuori casa a scorribandare con gli amici. La prima era una Roma gagliarda, ligia, educata da Fonseca e valevole di conferme e riconferme, la seconda è stata il classico topo che balla quando il gatto non c’è. La storia insegna che l’ordine viene dall’alto o manca completamente.
Una menzione speciale va riservata a Zaniolo tra i primi tre giocatori del campionato. Il suo stile è la risultante di continui raptus armoniosi. Dalla scorsa stagione la sua apparizione è stata angelica e folgorante insieme. Un ragazzino costretto da qualche iddio a compiere gesti di superiore coordinazione, dunque di naturale eleganza. È ispirato da orgoglio fisico prepotente. Debbo solo decidere a quale gens assegnarlo. Il resto mi vane tutto. Ha il profilo gentile di un ragazzo pianista (oh, delicato ha da essere!): ma lo stampino morfologico rasenta la perfezione a buon linea. L’impressione che desta è sconvolgente. I muscoli deflagrano come in frenesia ma il gesto è di eleganza incredibile, mai visto.
I masanielli azzurri e il Milan orfano di Berlusconi
Poi c’è il Milan che credevo avesse compreso finalmente con l’arrivo di Pioli di essere arrivato al capolinea dell’era Berlusconi, o almeno avesse intuito che ciò che è stato spesso non ritorna più, se non sotto forma di minestra riscaldata ed insapore. Inizialmente hanno affidato la panchina a Giampaolo vedendo in lui i residui di un’epoca lontana e gloriosa, di quegli anni d’oro che vedevano i diavoli dominare il mondo del calcio intero, sul campo e per stile. Ha fallito mestamente.
Pioli, un normalizzatore, ha portato normalità e sufficienza, ovvero tanto quanto può ambire ad oggi la società di via Aldo Rossi.
Ma Elliot non si capacita, ostinato come un mulo che crede di essere un cavallo, si presenta all’ippodromo sfoggiando Ibra come zoccolo duro: l’immagine perfetta di una gloria che fu. La vecchiaia è bella, peccato che duri poco. Porteranno sotto il Duomo Rangnick e perderanno un anno, l’ennesimo.
Spero tratteranno Leao, è troppo eccentrico per non dare nell’occhio. Il suo gioco è troppo particolare e disagevole per riuscire sempre al meglio. È un asso rococò: mette il dribbling anche nel caffellatte. Ma con la maturità potrebbe trovare misura nel gioco.
Misura che il Napoli ha trovato con Gattuso. L’errore degli azzurri è stato quello di credersi, come le tante altre che abbiamo visto sinora, migliori di quanto siano. Credevano che le apparizioni in Champions potessero restituirti di diritto il lignaggio nobiliare: le palle. Per questo hanno scelto Ancelotti: un reggente. Ma l’animo creativo, irruente e irriverente, scostumato della città è lo stesso dei tifosi e dei giocatori, per essere domati i masanielli hanno bisogno di un comandante in capo non di una figura illuminata buona, da trasformare in fesso.
Gattuso lo conosco bene. Si era guadagnato il Milan. Di balle ne contiamo tutti secondo convenienza e umori. È vero però che a onor del vero ha fatto bene dappertutto, perché riesce a farsi rispettare. È arrivato sotto il Vesuvio da sornione, mai facendo la figura del ciolla. Si è sovente adeguato secondo astuzia e adesso risulta che i suoi giocatori non vogliono se ne vada. Ho amato Mertens nonostante abbia fatto meno degli altri anni, è il simbolo di estri bizzarri e libertà sociali in un paese di quasi tutti conformisti, ritengo ancora Koulibaly uno dei migliori, è dotato di uno stile unico, prepotente, imperioso, talora spietato. Si getta sul pallone come una belva: e se per un caso dannato non lo coglie, salvi il buon Dio chi ne è in possesso! Esce dopo un anticipo atteggiandosi a mosse di virile bellezza gladiatoria.
Quello che resta della Serie A
Restano poi tutte le altre, delle quali si potrebbe dire tanto così come niente. Il Sassuolo è stato un parco giochi per adulti con un direttore, De Zerbi, che non è altro che un bambino nato sotto il mito di Zeman. Sono poco più di un esperimento, continuerà per lo svezzamento di giocatori provenienti da case madri, non sarà nulla di più di ciò che è stato. Da sottolineare la storia di Caputo, è il Jamie Vardy italiano, con la differenza che nel paese che va in visibilio per una bottiglietta d’acqua firmata da Claudia Ferragni, è sparito il gusto per gli attaccanti dal sapore proletario.
Mi ha solleticato la stagione del Verona di Juric, in lui vedo le stigmate di un nouveau Gasperini. Mi hanno deluso profondamente, la Fiorentina, rea di non aver esonerato Montella, oramai un ex allenatore, prima dell’inevitabile e il Torino che non merita questa sorte e questi giocatori. Lo spirito granata non è solo intensità, è cuore, chi non è degno di indossare quella maglia dovrebbe essere mandato alla leva. Merita la fanghiglia il Genoa, che per troppi anni ha tirato la corda, svilendo il calcio in commercio e profitto.
Concludo la mia analisi con due nomi Tonali e Bentancur. Il bresciano gioca con la semplicità che è propria dei grandi, ha innato senso geometrico e trova la posizione quasi d’istinto, farà strada. E senza atteggiarmi a sacerdote deluso, e peraltro lieto di venire smentito, lasciate che io chiuda con un Timeo uruguagios, et male ludentes. (Temo gli uruguagi, anche se giocano male), quello della Juve gioca anche molto bene.
È stato un piacere dare il mio contributo.
In fede,
Gianni Brera”