AMARCORD. IL CALCIO SANO – E DEI VALORI – DEGLI ANNI SETTANTA
Erano gli anni di un calcio pulito, di stadi sicuri, delle partite da vedere con tutta la famiglia. Anche l’ambito sociale era eccellente: la serenità e l’educazione regolavano la vita di ogni comune mortale, anche se si combattevano battaglie civili importanti. Come per il divorzio, un evento che rivoluzionerà, in pratica, il costume della gente italiana, spaventando un po’ una parte di essa, quella ancora non preparata ad un passo in avanti così significativo.
Così come sbigottirono molto i primi “anni di piombo” e il terrorismo che segnò un periodo nero in Italia. Ecco, il calcio serviva anche per quello, per dimenticare per due ore le negatività del mondo di allora,
Di giocatori con i baffi ce n’erano molti. Anche Dario Cheula, arcigno difensore mandato nella Tuscia dalla Juventus a fare esperienza, dal lontano Piemonte.
“Probabilmente – dice Cheula, con l’umiltà della gente di una volta – Viterbo ha dato più a me di quanto io non abbia dato alla “causa”.
Ricordo gli anni in gialloblu come fantastici, praticamente irripetibili. La gente è stata eccezionale nei miei confronti e mi ha insegnato tanto. Non avrei voluto mai tornare indietro, ma avevo dei problemi di studio e anche familiari, con il mio nucleo abbastanza disgregato dopo la morte di mia madre. Porto Viterbo sempre nel cuore e – appena posso – vado ancora oggi a guardare il risultato della squadra, la domenica.
Mille ricordi, come quello di una amichevole contro la Lazio del compianto Maestrelli. Io marcai Martini, Vuerich chiuse perfettamente su Chinaglia nel primo tempo: riuscì a non farlo segnare e all’intervallo si andò sullo zero a zero, che era una cosa sempre gradita contro le formazioni di serie A.
Feci una bella impressione ai dirigenti biancocelesti, che presero informazioni sul mio conto: mi avrebbero anche voluto, ma io ero di proprietà della Juventus e tutto finì lì.”