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PAPETTI RACCONTA VENDEMINI…

Muore a soli 24 anni, stroncato da un improvviso malore al Palasport Villa Romiti di Forlì, Luciano Vendemini, il primo professionista della pallacanestro riminese trovato e formato dal Prof. Rinaldi.Vendemini era nato a S. Ermete l’11 luglio 1952.

Giorgio Papetti, ora stimato medico ed allora giocatore dell’Olimpia Milano e Pallacanestro Milano e suo compagno di tante avventure cestistiche, lo ricorda così.

“Luciano Vendemini cominciò tardi a giocare, dopo i 15 anni, con un fisico altissimo ma ipotonico e le mani di ” pastafrolla” impiegò molto tempo ad apprendere i fondamentali della pallacanestro. In più aveva un grave deficit visivo che almeno gli rallentava i riflessi e gli diminuiva la visione panoramica.

Per tutti questi motivi Luciano non percorse come me, Della FioriMarzorati ed altri coetanei la trafila dei Nazionali giovanili (Allievi, Cadetti, Juniores) e della Nazionale Militare.

Al suo arrivo a Cantù incuriosì molto sia per l’altezza eccezionale sia perché si vociferava che avesse anche un fisico particolare, il petto carenato e le dita lunghe che sembravano le zampe di un ragno. La deformazione della gabbia toracica caratterizzata dalla protrusione anteriore dello sterno era ben visibile anche sotto la maglietta da gioco.

Nonostante le cattiverie ed i soprannomi che solitamente i giovani affibbiano ai coetanei con difetti fisici non ho mai sentito nessuno scherzare e deridere Luciano, anzi era protetto e ben voluto da tutti per il suo bonario modo di essere.

Luciano vincendo una grandissima timidezza si impegnò molto in palestra, utilizzando le lenti a contatto dopo essersi sottoposto ad un intervento oculistico, smentì gli scettici e meritò la convocazione nella Nazionale Sperimentale o Under 23, non ricordo bene come la chiamassero.

Il medico federale durante il ritiro che precedeva una manifestazione, faceva le visite mediche, il dottor Borghetti, sapendo che studiavo medicina, mi chiese di fargli da “infermiere”. Il mio compito era di pesare, misurare l’altezza e l’apertura delle braccia di tutti i miei compagni al fine di compilare la cartella clinica di ognuno. Al turno di Luciano mi trovai in grandissima difficoltà poiché l’altimetro si fermava a 210 centimetri e il metro che mi aveva fornito per misurare la apertura alare solo 200.
Presi uno sgabello per mettere la squadra sulla testa di Luciano e appuntare l’altezza con una matita sul muro, anche per l’apertura delle braccia lo accostai alla parete segnando con il lapis le sue misure estreme. Poi con calma, misurai, mi pare fosse 212 in altezza e 220 centimetri di apertura alare. Luciano nel frattempo molto paziente e collaborativo sembrava scusarsi del superlavoro che mi arrecava.

Giocammo un torneo estivo in una località della riviera adriatica prima di volare nell’Unione Sovietica. Non ricordo né gli avversari né il risultato ma in quella occasione imparai a servigli la palla dolcemente non troppo forte o da distanza ravvicinata poiché aveva un tempo di reazione leggermente superiore alla media. Il suo compagno di reparto era completamente diverso da lui, D’Amico era estroverso istrionico mentre Luciano introverso e taciturno; più D’Amico lo sosteneva e lo incitava più lui prendeva maggior confidenza con il gruppo che era già affiatato, aveva bisogno di sentirsi benvoluto.

Parlava soltanto se qualcuno si rivolgeva a lui ma diceva sempre cose di buonsenso e mai pettegolezzi o maldicenze. Non si azzardava a fare scherzi ai compagni ma si divertiva molto vedendo e sentendo le burle di spogliatoio; credo che a tenere a bada per due settimane un gruppo di Italiani ventenni a Leningrado nei primi anni ’70 non ci sarebbe riuscito neanche Darix Togni.

In Unione Sovietica quasi tutti avevano portato merce di scambio (calze da donna di seta, blue jeans, penne biro ecc..) per barattare o per ammorbidire le ritrosie delle ragazze, che si diceva allora, praticassero l’amore libero.

All’Hotel Leningrad dopo lo scoccare del coprifuoco notturno imposto dall’allenatore Carlo Cerioni c’era un grande movimento sia in entrata che in uscita. Chi andava “in vita” a rimorchiare sotto il sole di mezzanotte, tipico fenomeno estivo di quelle latitudini, chi invece aveva già agganciato e riceveva visite e c’era chi invece prosaicamente si dedicava ai commerci ed al mercato nero di valuta con i giocatori Sovietici e loro amici.

I più pensavano che gli avversari che avevamo di fronte tra cui URSS A, URSS B, Jugoslavia A, Jugoslavia B, Cecoslovacchia A, ecc.. non ci avrebbero lasciato scampo. Invece Vendemini e pochi altri duri e puri, rimasero sempre ligi alle consegne dimostrando grande professionalità.

Durante la partita contro la selezione sovietica A, Luciano era distratto e guardava per terra, il suo uomo aveva segnato tre canestri di fila. Io ero in campo e ogni volta lo incoraggiavo e gli raccomandavo di stare più attento per non farselo sfuggire. Alla terza volta mi confidò di aver perso la lente a contatto e che si vergognava a far sospendere il gioco. Aiutami a ritrovarla, disse. La partita mostrava già la grande disparità dei valori in campo e non c’era nessuna possibilità di raddrizzarla. Luciano con la sua ingenuità pensava di vederla cercandola da 212 centimetri di distanza durante lo svolgersi della gara, recuperarla e rimettersela senza farsene accorgere!!!
La lente, di quelle rigide, fu trovata sbriciolata sotto il peso di giocatori di 100 chili di peso, durante il minuto di sospensione concesso dagli arbitri.

Terminato il torneo, molto bello in verità, che ci consentì di confrontarci con i migliori giocatori europei, ci fu il problema di fare i bagagli: molti notarono che tutte le cose acquistate al mercato nero o barattate non stavano nelle loro borse e chiesero a Lucianone, che non sapeva dire di no, di ospitarle nei suoi bagagli.

Sapevamo che la dogana per la Squadra Nazionale sarebbe stato solo un pro forma ma avevamo tutti paura che sollevando bruscamente le borse, i manici si sarebbero strappati sotto il peso di scatole di caviale da 2 kg, macchine fotografiche Zenit, icone spacciate per autentiche, Vodka, ecc.
Andavamo tutti cauti quando le alzavamo e Luciano era il più a rischio perché aveva le borse più pesanti di tutti.

Alla Malpensa ritirammo i bagagli e lestamente ci dirigemmo all’uscita dei passeggeri che non hanno nulla da dichiarare. Prima di uscire vidi che mancava proprio Vendemini. Tornato indietro lo trovai a parlare con i finanzieri del posto di blocco con le borse sul loro bancone delle perquisizioni bagagli. Un brivido corse sulla mia schiena, ma Luciano stava solo rispondendo bonariamente alle solite domande: quanto sei alto? Che numero di scarpe porti? Quanto è alta la tua fidanzata? Come te la cavi con la lunghezza del letto? ecc..

Non giocai mai più con lui ma ad ogni incontro da avversari ricordavamo con piacere quegli episodi della nostra campagna di Russia.

Luciano dal basket ha avuto molto, è uscito dall’isolamento sia oggettivo che interiore, ha trovato gloria anche nella Nazionale Maggiore, benessere economico, amicizia e l’amore della moglie.
Consapevole dei rischi che correva continuò a giocare, perché aveva paura di perdere quello che aveva faticosamente conquistato. Chi poteva non glielo vietò e noi non siamo riusciti a fargli capire che gli volevamo bene, non perché giocava a Basket ma perché era una persona buona e dolcissima.”

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