IL CASTELLO, TONY BIN, L’INTERTOTO …
Se è vero che esistono i fantasmi, se è vero che si aggirano nei castelli, allora sicuramente ce ne sarà uno in più, ora, in quello di Torre Alfina, cinquantacinque stanze, più i giardini. Era stato uno dei simboli del massimo splendore di “Big Luciano”.
Quel castello fu il sigillo della potenza che raggiunse Gaucci nella seconda metà degli anni novanta. Forse avrebbe voluto trascorrerci gli ultimi anni della sua vita. Non avrebbe mai immaginato, probabilmente, che avrebbe – invece – terminato la sua esistenza terrena nella lontana Santo Domingo, distante dalla ricchezza e dal potere che era riuscito a incamerare, praticamente partendo da zero. Non lo avrebbe mai pensato, quando si affacciava da quel castello, costruito su un’antica torre d’avvistamento longobarda da Cataluccio di Galasso di Bisenzio, signore di Torre Alfina.
Il “Signore” di Torre Alfina era diventato lui, spinto in alto dai miliardi che riusciva e mettere insieme, ossequiato quando decideva di trascorre qualche giorno al Castello. Per accontentare gli sportivi locali aveva anche creato una squadra di calcio, iscrivendola al campionato di terza categoria, acquistando tutti giocatori di almeno due categorie sopra. Il Torre Alfina – allenato da Natali – stravinse quel campionato, stabilì ogni record possibile, fu ospite della “Domenica Sportiva”. Era una delle cose belle di quel periodo d’oro di Gaucci, prima che quel mondo delle meraviglie crollasse all’improvviso e Gaucci perdesse praticamene tutto, compreso il famoso castello. Ora quella imponente struttura architettonica dovrà accontentarsi, in qualche notte umida e ventosa, solo del suo fantasma, che rivangherà la iperbolica ascesa di un uomo, oste, tramviere, che fece fortuna. Un “Romano de Roma” che scalò il mondo imprenditoriale nel settore delle pulizie, che fece fortuna nel mondo dell’ippica grazie alle vittorie del fenomenale cavallo Tony Bin, una vera miniera d’oro.
Dal suo ufficio di Piazza Santa Maria Maggiore partivano direttive di ogni genere, per ogni settore, financo quello del calcio, di cui si cominciò a innamorare in modo consistente quando diventò vicepresidente della Roma.
Ci prese ancor più gusto col Perugia, portandolo in serie A, poi comprando contemporaneamente più società, il Catania, la Sambenedettese. E la Viterbese, appunto, acquistata all’inizio del ’99, quando era in serie C2.
“Avevo dodici anni – dice Federico, un infermiere giramondo – quando, insieme a mio padre, mi sono recato presso il castello di Torre Alfina per una visita. Siamo stati accolti dal custode, un conoscente di famiglia, e da un Basset Hound, un cane molto simpatico che ci ha preso a ben volere, riempiendoci immediatamente di feste. Ho sempre ammirato Gaucci, un uomo capace di trasformare una piccola realtà come Perugia, ereditata in serie C, in una squadra abile a trionfare, addirittura di andare a giocare in Europa, nell’Intertoto”.
C’è da dire che la morte di Gaucci ha un pochino ristabilito le distanze e anche nella Tuscia sono stati molti quelli che gli hanno dato l’ultimo saluto, virtualmente parlando, ricordando di più quanto fatto di buono. La dipartita ha avuto il merito di far mettere da parte molti dei vecchi giudizi sull’operato dell’uomo di Tony Bin, che aveva sfiorato la serie B con la Viterbese.
DAL LIBRO “BEL CALCIO SI SPERA”