Pietro MenneaPietro Mennea stabiliva il record del mondo sui 200 metri. 1,8 metri di vento a favore.  In Messico era primo pomeriggio, le 15.15; in Italia le 23.15. Sulle gradinate dello stadio c’era poca gente, sperduta qua e là. Mennea aveva in mente una cosa sola: raggiungere il prima possibile la massima velocità e mantenerla, fin quando ne sarebbe stato capace. Quel giorno – con la pettorina numero 314 cucita sul petto – Mennea aveva 27 anni, l’anno dopo – alle Olimpiadi di Mosca – avrebbe vinto l’oro con un’altra gara da leggenda.

È stato un corridore eccezionale, resistente a tutto, precursore dei metodi moderni di allenamento (il suo allenatore era il professor Carlo Vittori), ma anche e soprattutto una macchina da corsa. È stato campione tra i campioni, simbolo di un’Italia sportiva che annoverava poster generazionali come Felice Gimondi, Sara Simeoni, Adriano Panatta, Gustav Thoeni.  Il suo record del mondo sui 200 metri è stato migliorato prima un paio di volte da Michael Johnson nell’estate del 1996 e poi da Usain Bolt, che a Berlino ha spostato il limite umano a 19’19.