SEI PALLEGGI E MAZZOLA VA IN GOL …
di Massimo Prati
Nel giugno del 1970, James Schwarzenbach, un politico zurighese della destra svizzera, a cui si attribuivano simpatie franchiste di gioventù, aveva lanciato una iniziativa referendaria volta all’espulsione di massa dalla Confederazione Elvetica degli immigrati. Immigrati che, in grandissima parte, erano di nazionalità italiana, nell’ordine delle centinaia di migliaia. Il referendum anti-immigrati, che vide una percentuale di votanti altissima, fu respinto da una maggioranza che non si può definire certo schiacciante. Contro l’iniziativa si espresse il 54% dell’elettorato.
Era l’altra faccia della Confederazione, non quella neutrale, umanitaria e libertaria.
Schwarzenbach era il degno rappresentante di una Svizzera ossessionata dal profitto, xenofoba e patriarcale. Una Svizzera che non aveva ancora riconosciuto il diritto di voto alle donne nel proprio paese: gli uomini andavano a votare e le donne restavano ancora fuori dai seggi elettorali. Difficile credere che questo potesse succedere in una democrazia occidentale negli anni Settanta ma era effettivamente così.
In quegli anni, per i lavoratori stagionali italiani, e per tutti gli immigrati in generale, vigeva il divieto di ricongiungimento familiare. La Svizzera voleva braccia per il lavoro ma non voleva bambini stranieri di cui avrebbe dovuto sobbarcarsi i costi sociali. Mi è capitato di sentire decine di testimonianze di uomini e donne, a quei tempi bambini e bambine, appartenenti alle famiglie di emigrati italiani. Queste testimonianze avevano almeno due drammatici e ricorrenti elementi in comune: si trattava di un’infanzia vissuta di nascosto in casa e si trattava di un’infanzia costretta al silenzio. I piccoli degli emigrati italiani dovevano imparare a crescere in silenzio, perché se un vicino li avesse sentiti avrebbe potuto denunciare la sua famiglia alle autorità competenti. Non a caso, questi bimbi e queste bimbe sono passati alla storia come “les enfants cachés”: i bambini nascosti.
Si dice che, in quegli anni, in non pochi locali pubblici elvetici, era vietato l’ingresso ai cani e agli italiani, con tanto di cartello in vetrina a rendere chiaro il messaggio. In un giornale losannese dell’epoca mi è capitato di leggere un’offerta di lavoro. Non ricordo più bene se si trattasse di un posto da domestico o da giardiniere, ma ricordo di avere letto la precisazione che l’offerta non era valida per gli italiani.
Era una situazione sociale crudelmente ma sapientemente rappresentata, non senza punte di sapiente ironia, dal film di Franco Brusati, “Pane e Cioccolata”, interpretato da Nino Manfredi in cui, tra l’altro, il protagonista riscopre l’orgoglio della sua identità nazionale proprio in occasione di un gol degli Azzurri in una partita vista alla TV in un bar della Svizzera di lingua tedesca, presumibilmente nel 1973.
Se non vado errato la figura dell’immigrato stagionale, con permesso di lavoro di nove mesi fu abolita definitivamente nel 2002. Io arrivai in Svizzera, come lavoratore straniero nel marzo del 2004 e per i primi tre anni lavorai come operaio aeroportuale a Ginevra. Fortunatamente, negli anni Duemila, non c’era quasi più traccia del clima sociale anni Settanta, anzi devo dire che trovai un paese cosmopolita e accogliente, probabilmente anche perché le ondate migratorie di italiani, spagnoli e portoghesi prima, e di popoli del resto del mondo poi, avevano modificato la mentalità di questo paese.
Nel frattempo, il permesso per gli stagionali era divenuto il “Permesso di tipo L”. Era un permesso che durava 30 mesi, era vincolato al posto di lavoro (era il datore di lavoro che lo riceveva e non l’emigrato, che ne entrava in possesso solo grazie alla necessaria intermediazione della ditta per cui lavorava), ed era un permesso sottoposto a verifica e rinnovo ogni 12 mesi (in caso di perdita del posto di lavoro, non veniva rinnovato ed iniziava la procedura di espulsione). Quello è stato il primo permesso di lavoro che ho avuto io, appunto per due anni e mezzo, fino al 2007. E ricordo che a volte, senza alcuna malignità, i colleghi svizzeri mi chiamavano scherzosamente “le saisonnier”: lo stagionale.
Ai miei tempi la condizione di lavoratore straniero in Svizzera era una situazione su cui si poteva anche amichevolmente scherzare. Ma, come credo di avere spiegato, seppure sinteticamente, negli anni Settanta per gli emigrati italiani in Svizzera non c’era niente di divertente. Anzi, direi che era una vita vissuta in situazioni difficili e dure, per non dire drammatiche, sia per adulti che per minori. Una volta due italiani del sud, emigrati nel 1955 mi hanno parlato della visita medica obbligatoria e necessaria per ottenere l’ingresso in Svizzera, dicendo che era talmente minuziosa e invasiva che si erano sentiti trattati come animali.
È in questa cornice storica, dunque, che l’Italia affronta la Svizzera, nel Wankdorfstadion di Berna, in un pomeriggio di sabato del 17 ottobre 1970.
L’Italia era reduce da un Mondiale in cui si era inchinata solo al grande Brasile di Pelé, Jairzinho e Rivelino e arrivava dunque a Berna da vicecampione del mondo. Grandi erano quindi le aspettative dei numerosi italiani venuti allo stadio per sostenere gli azzurri.
Invece, a parte una iniziale occasione da gol non sfruttata da Gigi Riva, per quasi tutto l’incontro, le loro aspettative vanno deluse: l’Italia va presto in svantaggio e subisce la pressione elvetica fino ai minuti finali della partita.
In effetti, gli azzurri non sembrano essere entrati in partita, forse a causa di una sottovalutazione degli avversari o forse per mancanza di concentrazione.
Leggendo un articolo uscito su “La Gazzetta dello Sport” il martedì precedente all’incontro, si evince che Valcareggi aveva intenzione di approcciare la partita in modo, per così dire, sperimentale: nell’articolo della “rosea” si parlava infatti di due formazioni abbastanza diverse per ciascun tempo e della volontà del Commissario Tecnico di provare due differenti coppie di interni: Rivera-Juliano nel primo tempo e Mazzola-De Sisti nella ripresa (Rivera comunque non sarà convocato a causa di un risentimento muscolare sopravvenuto due giorni dopo, alla vigilia della partita).
Fatto sta che nel match gli elvetici si impongono a centrocampo: Odermatt e Kunh imbastiscono il gioco e gli attaccanti Rolf Blättler e Fritz Künzli finalizzano le azioni (Fulvio Bernardini era stato facile profeta, perché in un articolo del giorno prima aveva tessuto le lodi proprio di questo gruppo di giocatori).
In effetti, è proprio la punta elvetica, Rolf Blättler, che supera Enrico Albertosi con un tiro da lunga distanza deviato involontariamente da Cera. Siamo al quarto d’ora del primo tempo: Svizzera uno Italia zero.
Per il restati trenta minuti della prima frazione di gioco, l’incontro riserva poche emozioni. La reazione azzurra è quasi inesistente: il taccuino del cronista registra solo un’azione Mazzola Gori che sfuma sul fondo. Nel filmato televisivo, il cronista precisa che i numerosi emigrati italiani presenti al Wankdorfstadion iniziano a rumoreggiare e a fischiare gli azzurri. Nella cronaca della “Gazzetta dello Sport” si legge che si alzano cori inneggianti a Rivera che, come già detto, era indisponibile per un infortunio del giorno prima.
Nella ripresa Dino Zoff, chiamato a sostituire Albertosi, è costretto quasi subito all’intervento, con deviazione a lato su tiro insidioso di Künzli.
Poi, Zoff è chiamato ad un secondo intervento importante su un tiro spiovente: una presa alta di mani che lo costringe ad allungare le braccia per tenere la palla fuori dalla linea di porta.
Per la Svizzera c’è ancora da segnalare un altro tiro, al volo di Blättler che finisce a lato di poco. Poi finalmente l’Italia si rende pericolosa: Mazzola dal centrocampo scende sulla corsia di destra, verticalizza per Gori che crossa al centro. Nell’area elvetica c’è Domenghini che colpisce bene di testa, ma la palla si stampa sul palo. Sul successivo rimbalzo, il pallone ritorna nuovamente al cagliaritano che colpisce tirando di poco a lato. Mazzola ci riprova poco dopo, con un tiro da fuori area che quasi trova impreparato Kunz, il numero uno dei rossocrociati. Al tiro di Mazzola fa poco dopo seguito quello di Giacinto Facchetti: insomma finalmente si vede che l’Italia non ci sta a perdere.
Da segnalare la non brillante giornata di Gigi Riva, marcato a dovere dall’esordiente in nazionale rossocrociata, Pier Angelo Boffi, postino ticinese di ruolo terzino che, a fine partita, un po’ spocchiosamente dirà di aver marcato “gente più forte di Riva”. Viene da pensare che probabilmente anche Riva aveva incontrato gente più forte di lui.
La Svizzera, comunque, quel giorno ha anche l’occasione di chiudere il match: un tiro di Blättler si stampa sulla traversa, rimbalza su un ginocchio di Zoff e poi viene deviato in corner da Niccolai.
E invece finalmente arriva il pareggio azzurro. Su una respinta dall’area svizzera, la palla arriva al limite dove si trova Mazzola. Tre palleggi di destro dell’interista, un palleggio col piede sinstro e poi ancora due con il destro. Il tutto sgusciando tra gli avversari. Dopodiché Mazzola fa partire un tiro teso che batte il portiere: un gol memorabile che entra nei manuali del calcio e che permette ai nostri emigrati di tornare al lavoro a testa alta, anche se la delusione per l’andamento della partita resta comunque. Una delusione che, stando alle cronache, si manifesta con una contestazione a base di improperi nei confronti della squadra azzurra in partenza.
Il tabellino della partita.
Sabato, 17. ottobre 1970. Wankdorf Stadion. Berna. Spettatori: 38.271 Svizzera-Italia 1-1
Marcatori: Rolf Blättler 16′; Sandro Mazzola 85′.
Arbitro: Kurt Tschenscher (Germania).
SVIZZERA: Marcel Kunz, Peter Wenger, Georges Perroud, Anton Weibel, Pier-Angelo Boffi, Gabet Chapuisat, Karl Odermatt, Köbi Kuhn, Fritz Künzli, Walter Balmer (46′), Rolf Blättler.
Giocatori di riserva: Georges Vuilleumier, Daniel Jeandupeux (46′).
Allenatore: Louis Maurer.
ITALIA: Enrico Albertosi (46′), Pierluigi Cera, Comunardo Niccolai, Giacinto Facchetti, Fabrizio Poletti, Giancarlo De Sisti, Antonio Juliano (46′) Luigi Riva, Sergio Gori, Sandro Mazzola, Angelo Domenghini.
Giocatori di riserva: Dino Zoff (46′), Ugo Ferrante (46′).
Allenatore: Ferruccio Valcareggi.