IL CALCIO DI INTERNET. QUELLA COSA INUTILE DEL “COCCODRILLO” …
DAL LIBRO “IL PALLONE AL TEMPO DI INTERNET”
Negli anni Settanta – i più belli secondo molti di coloro che li hanno vissuti – qualcuno provava ad immaginarsi un fantascientifico futuro. C’era pure chi si avventurava in previsioni che sembravano più che irreali. Arrivò addirittura a fantasticare un futuro in cui con un telefono si potesse leggere il giornale o eseguire operazioni bancarie.
Ci si faceva una risata sopra e si continuava a guardare i bambini di allora, davanti alla tv, che rimanevano attratti dalla serie “Spazio 1999”, con improbabili astronauti che parlavano e vedevano tramite uno schermo. Qualcuno, ironicamente, ribadiva a quei contenuti televisivi con un “si, va beh, magari nel duemila!” Il duemila è arrivato, è stato superato da molti anni, e tutto ciò di cui si “farneticava” allora, è diventato realtà. Ha cambiato la vita delle persone e, con essa, anche lo sport.
Sono praticamente scomparse le cose di tutti i giorni, quelle della tradizione, quelle della letteratura, come le lettere o le cartoline recapitate nella cassetta metallica, il telefono fisso, posto rigorosamente nell’ingresso di casa, con il lucchetto, per evitare di spendere troppo. Ora con un “click” si fa praticamente tutto. Si vede un film, si invia una mail, si acquistano capi di abbigliamento e la nduja calabrese. E soprattutto si vede il calcio. Lo si acquista anche all’ultimo momento, usufruendone in un sempre più caotico contorcersi di abbonamenti sottoscritti qua e là, senza più un punto di riferimento fermo.
Più di una generazione di calciofili è cresciuta con il “catenaccio”, come era chiamato l’atteggiamento di quasi tutte le squadre italiane, ben chiuse, quasi ermeticamente, in difesa per gran parte della partita, cercando di non prendere gol, per poi lanciarsi in contropiede, per segnarlo. Forse a qualcuno degli osservatori non piaceva molto, ma tutto aveva una logica, non come certe cose del calcio di oggi, di cui non si sentiva davvero la mancanza. Come ad esempio, il “coccodrillo”, una triste, quanto inutile, invenzione di chi non ha saputo arginare la sempre crescente bravura dei giocatori di segnare su calcio di punizione. Siccome c’è da saltare sempre più in alto, in barriera, si rischia, in teoria, che il pallone possa essere calciato sotto i piedi. Ed allora ecco l’antiestetica figura di un calciatore sdraiato per terra, dietro la barriera, come se stesse prendendo il sole. Brutto, davvero brutto, come gran parte del calcio di internet, quello che ha perso così tanti valori da diventare quasi irriconoscibile a chi ha vissuto quello della parte terminale del secolo scorso. Il “coccodrillo”, un fatto quasi scenografico di una partita di calcio che rassomiglia sempre meno a quello che piaceva alla gente. “Ma il coccodrillo come fa”, come recita una canzoncina per bambini tra le più famose, resistita anche ai colpi di piccone di internet, vincitrice dello Zecchino d’Oro ’93, con testo di Oscar Avogadro e musica di Pino Massara. Fa che compare nel 2013, per fronteggiare una punizione dello specialista Kardec, in Brasile. La prima volta di una mossa tanto strana per un campo da calcio, per una partita di pallone. La barriera, di solito, non trasmette emozioni particolari allo spettatore, ma risulta un momento stressante per chi vi è coinvolto. Lunghi istanti, con il portiere che urla di non muoversi o di spostarsi, a seconda dei casi, una voce che arriva da dietro le spalle, che crea, appunto, tensione. Il “coccodrillo” va ad aumentare lo stato tensivo, ingigantendo anche la confusione. Solo il tempo dirà se il “coccodrillo” sarà stata una delle tante mode nate nel calcio e andate in disuso in breve tempo. Intanto, per fortuna, tanti allenatori non si sono fatti “ammaliare” da tale artifizio e continuano a difendersi nel modo tradizionale. E c’è anche chi è stato squalificato per colpa del “coccodrillo”, come un calciatore delle giovanili toscane, perche – come recita la decisione del giudice sportivo – “posizionatosi disteso sul terreno di gioco dietro il direttore di gara, causando la caduta dello stesso, mentre indietreggiava. Il tutto senza conseguenze”.