L’AFFASCINANTE SFERA DEI PORTIERI, QUELLI MODERNI E I PIONIERI
Ne abbiamo visti tanti all’opera, a cominciare da Renzo Restani, ammirato nelle mie vesti di giovanissimo appassionato del calcio gialloblu, non ancora di giornalista. Ci siamo rifatti in occasione della festa organizzata per i cinquanta anni della promozione in serie C, di quelli che io ho denominato i “Mitici del ‘70”. Dovendolo contattare più volte per organizzare l’evento, abbiamo avuto modo di intrattenerci al telefono con lui diverse volte. Abbiamo conosciuto, così, un uomo di grande educazione e disponibilità, poi confermata anche di persona in quell’incontro toccante con i compagni di squadra che, insieme a lui, compirono l’impresa. Fu una delle grandi certezze di quella Viterbese promossa in C, ma anche tra i più apprezzati del campionato nell’anno successivo. Avrebbe sicuramente meritato una carriera assai più prestigiosa, ma non se ne fa un cruccio e si tiene stretti i rapporti di gioventù, le belle stagioni a Viterbo, ma anche quello scudetto del campionato De Martino, a difesa della porta del Brescia.
Per gli sportivi di una certa età rimane un’icona insuperabile, con quel fisico imponente e armonioso e quella classe che lo faceva stare tra i pali con una naturalezza incredibile. Rimane il portiere della prima volta in serie C, colui che contribuì a vincere il campionato eppoi a mantenere la categoria nel 1971, con quell’ultima battaglia per la salvezza contro il Brindisi, al vecchio stadio Comunale, che sembrava la finale per uno scudetto, con tanta, appassionata, partecipazione di pubblico. Su quello stesso campo ci era già stato da avversario, con la maglia del Foligno, quando aveva solo diciassette anni. In gialloblu ci arrivò in comproprietà dal Brescia, società che deteneva il suo cartellino.
Quelli come lui sono rimasti gialloblu ad “honorem”, capostipiti di un calcio sano, quello in cui i giocatori non avevano bisogno dei procuratori. Sapevano contrattare i propri cartellini e la loro carriera, anche sbattendo i pugni sul tavolo, se necessario. Erano i tempi in cui una vittoria del campionato era anche la sublimazione di tante storie, il compendio di un rapporto ravvicinato tra giornalisti e giocatori, di articoli e interviste genuine e personalizzate. Interviste gradite da entrambe le parti e di cui, ancora oggi, si conserva un bel ricordo, di quella Viterbo che era una volta terra di portieri. Molti di quelli che seguono il calcio di Viterbo forse non sanno che una volta era terra di portieri bravi, come, ad esempio, Di Bitonto e Paoletti oltre all’ultimo, più recente, Iannarilli.
Nicola Di Bitonto aveva esordito in serie D, a Trani, addirittura a sedici anni. Nell’82 il coronamento di tanti sogni cullati da bambino. Suoi e del fratello più grande, che lo portava sempre con sé a giocare a pallone per strada. Siccome era il più piccolo di tutti, finiva – come spesso accadeva in quei casi – dove nessuno voleva andare. In porta. Lui ci si impegnava lo stesso e spesso tornava a casa con i pantaloni rotti, dopo un paio di tuffi, rimediando la ramanzina dei genitori. Arrivò alla serie A. Una sera, alla domenica sportiva, viene intervistato il presidente del Cagliari, Orrù, il quale dichiara di voler ringiovanire la squadra con i migliori giovani in circolazione e annuncia di aver preso dal Barletta il portiere Di Bitonto. Lo viene a sapere così, Nicola, che a Cagliari resta cinque anni e che fa l’esordio nel maggio del novantuno, davanti a quarantamila Cagliaritani in festa per la permanenza in serie A. Ha come allenatori gente del calibro di Mazzone e Tabarez, oppure compagni di squadra come Matteoli, Dely Valdez e Allegri. A Viterbo ci giunge all’inizio del terzo millennio e mantiene un rendimento domenicale sempre elevatissimo. È anche protagonista – suo malgrado – di un incredibile episodio. Mentre al Rocchi sta piazzando il pallone in terra per il rinvio con i piedi, un tifoso del Catania scavalca la rete di recinzione e gli va a dare una botta sulla schiena. Poi, incredibilmente indisturbato, risale la medesima barriera metallica e si dilegua nel nulla.
Se non fosse arrivato il fallimento societario del 2004, probabilmente la Viterbese sarebbe finita in serie B e Gabriele Paoletti sarebbe diventato uno dei portieri più forti ad avere indossato la maglia gialloblu, magari anche per tanti anni.
Cresciuto nelle giovanili del Torino, con cui vinse un Torneo di Viareggio, con la Viterbese ha giocato trentadue volte, mostrando qualità eccellenti con uno stile tra i pali tutto da vedere. Dopo il fallimento societario gli si spalanca la strada del grande palcoscenico. Approda all’Udinese ed esordisce con la maglia bianconera in Serie A – novembre 2005 – a San Siro contro il Milan.
I Pionieri. Ne erano passati di anni dallo stereotipo del portiere degli anni Sessanta e Settanta, rigorosamente in tenuta nera, che fece dell’Italia una delle patrie più importanti per l’affermazione dei giocatori tra i pali. In quegli anni ancora imperversava Lev Jascin, per molto tempo considerato tra i migliori del mondo. Ancora oggi qualcuno lo inserisce nella top ten di tutti i tempi, insieme al polacco Tomaszewski e a Peter Shilton. Quest’ultimo aveva esordito quando ancora doveva compere diciassette anni. Ha partecipato a tre campionati del Mondo, anche se si sentiva troppo basso per fare il portiere. Era un tipo poco controllabile e la moglie dovette perdonargli tante scappatelle. Una volta conobbe una donna in un pub e decise di proseguire l’amabile conversazione in macchina. Scoperto dal marito di lei, mise in moto e fuggì, con i pantaloni ancora calati e cento metri dopo andò a sbattere contro un palo della luce.
In Italia, come detto, grandissimi interpreti: Giuliano Sarti venne considerato a lungo il più bravo d’Italia, che aveva contribuito al ciclo storico dell’Inter di Herrera, il “Mago”. Poi arrivò la clamorosa papera di Mantova, che fece perdere uno scudetto che pareva oramai già vinto.
Rimane uno dei miei protagonisti delle Figurine, insieme a tanti colleghi di quegli anni, i vari Pizzaballa, Ginulfi, Bandoni, Cudicini, Negri, Vieri, Cimpiel, Luison, Cometti, Cipollini, Mattrel, Valsecchi.
DAL LIBRO “DIECI”